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La foresta che avanza

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Il “canneto partecipato” di Maria Grazia Eccheli
all’interno della manifestazione “Bosco in Città”
come contributo alle iniziative
del progetto Ri-Ciak per un cinema di comunità a Veronetta

Testo: Alberto Ghezzi y Alvarez

La corte su cui si affaccia l’ex cinema Ciak è uno spazio attraversato distrattamente dagli abitanti di Veronetta, una parentesi a cielo aperto tra le due gallerie che conducono a via Cantarane da un lato a via XX Settembre dall’altro. Questo brano di città, appartenente al tessuto storico  dell’espansione scaligera medievale, è sorvegliato da condomini anni Settanta, ed era un tempo foyer all’aria aperta del cinema Embassy – così si chiamava in origine – che si sviluppa sotto il selciato.
Grazie all’associazione ViveVisioni e al progetto Ri-Ciak, che intende rigenerare sia gli intrigati spazi ammantanti di luce e ombre che la sala ipogea per farne un cinema di comunità, questo indefinito “passaggio interno” vive da qualche anno una vitale rinascita. Tra le iniziative proposte quella che ha particolarmente rinvigorito questo brano di città è il Canneto partecipato, installazione pensata da Maria Grazia Eccheli con Claudia Cavallo all’interno della manifestazione Ri-Ciak: Un bosco in città, un impegno per l’ambiente, la cultura e l’economia di prossimità tenutasi il 17 e il 18 giugno, inserita all’interno della rassegna Veronetta Contemporanea Estate promossa dall’Università degli Studi di Verona.

Anticipa la costruzione del “bosco” la karmesse di Francesco Ronzon: lo spettatore è accolto nel panificio di Santa Marta, nel maieutico progetto di Carmassi, dentro il cortile perimetrato da ballatoi che rimanda ad atmosfere del teatro elisabettiano: visioni proiettate sui muri e musica dal vivo ethno-ambient-soundscape suonata interamente tramite strumenti fisici e non digitali. La performance integra il mondo visuale e musicale per immergere l’ascoltatore in una lussureggiante giungla sonora, ottenuta attraverso l’ibridazione tra affreschi elettronici, percussioni, suoni di foreste pluviali, strumenti a fiato e voci. La genealogia di queste esperienze sonore è rintracciabile negli esperimenti di Brian Eno, Jon Hassell, Don Cherry, Nana Vasconcelos. Per la parte visiva, immagini ambientali e immersive scorrono attraverso la performance unendo udito e vista in un’intrigante sinergia.

L’ingresso nella dimensione della “foresta immaginata” di Ronzon permette di introdurre al meglio l’intervento del “canneto partecipato”, pensato per essere effimero e autocostruito dai volontari dell’associazione. Inizia così la trasformazione della corte in evento, in termini temporali e spaziali.

Il progetto, nella sua prima versione, prevede di popolare la corte di alti setti verdi: un “labirinto” frammentato è pensato in rete mettalica che sostiene alti fusti di bambù. Il risultato dell’intervento rende l’attraversamento della corte da e verso via Cantarane un percorso ricco di occasioni spaziali. Chi si trovi in questa “porzione di periferia all’interno della città storica” (nelle parole dell’architetto), riconquistata da questo esercito di muri verdi, vedrebbe lo spazio come un punto di interesse tra i grigi condomini. Il “bosco” immaginato dal progetto non cerca di ricreare pedissequamente l’immagine pittoresca della natura selvaggia che si riprende i suoi spazi; nella sua composizione geometrica, fatta di muri la cui tessitura è appunto il verde del bambù, denuncia la mano umana che lo ha ideato e costruito. Denuncia, inoltre, la propria appartenenza al mondo fatto di piani sfalsati della scenografia teatrale. La scena è in questo caso uno spazio urbano attraversato distrattamente, reso vitale dagli attori verdi avanzano tra le due gallerie.

Una “foresta che avanza”, come quella di Birnam profetizzata dalle streghe del Macbeth shakespeariano. L’utilizzo di piante ottenute gratuitamente dai volontari, seguendo il principio del riuso e della condivisione richiamate dall’iniziativa, muta il progetto iniziale nei suoi esiti formali, ma non nell’effetto avuto sulla rivitalizzazione della corte: i setti verdi divengono cannetti liberati dalla rete metallica prevista inizialmente, oltre che una trama vegetale tessuta sul muro ovest.
Il canneto di bambù sulla bianca parte, quasi un affresco da giardino pompeiano, funge da scenografia al filare di leggii da cui recitare alcuni brani tratti dal Sogno di Una Notte di Mezza Estate, curati da Andrea De Manincor. Un esagerato, nero tappeto, che il riflesso del sole sembra trasformare in acqua, è il palco su cui danzano le piccole fatine di Barbara de Nucci.
La popolarità dell’intervento tra gli abitanti del quartiere dimostra come la trasformazione di un brano di città, guidata da una mano sapiente, possa essere il successo anche nella limitata disponibilità di mezzi. Ad essere riuscita è la trasformazione di un “vuoto” tra le due grandi arterie di Veronetta, apparentemente poco significativo, in occasione di sosta, di riflessione anche percettiva dell’utente, e, perché no, anche di gioco. Il proposito originale dell’installazione, ovvero richiamare l’attenzione su temi ambientali sempre attuali, è indipendente dalla possibilità di godere dell’opera come semplice re-immaginazione dello spazio urbano.

L’utilizzo del verde non è qui semplice dichiarazione ecologista, non è ingrediente magico aggiunto al grigiore di una corte dimenticata per renderla “vivibile” proprio perché il suo valore figurativo nella dispositio e nei valori protettivi e spaziali va oltre la semplice cosmesi del verde in città.

Quando la sapienza del progettista nel saper cogliere la necessità di vista formale si unisce alla volontà di un gruppo di cittadini, la riqualificazione urbana conosce interventi di qualità, al di fuori della retorica e della moda. Il ruolo del progettista capace di cogliere il “canto del luogo”, in un mondo che esige sempre di più la trasformazione di spazi preesistenti, diviene fondamentale e pone nuovi scenari di successo frutto della collaborazione tra l’architetto e la comunità, come nel caso del Bosco in Città.